Con molto piacere pubblico qui un ricordo di Kató Havas, scritto da Roberto Moro, violinista e insegnante, un pioniere che la conobbe e iniziò a seguire e applicare il suo insegnamento già molti anni fa. L'articolo è stato pubblicato su A tutto arco, di maggio 2019, la rivista dell'ESTA Italia (Associazione degli Insegnanti di Stumenti ad Arco), a cui suggerisco di iscriversi.
Molti lettori di “A Tutto Arco” sono probabilmente a conoscenza che Kató Havas, violinista e didatta ungherese, autrice de “A New Approach to Violin Playing” (Un Nuovo Approccio al Violino), è venuta a mancare il 31 dicembre 2018 a Oxford, alla ragguardevole età di 98 anni.
Con sensibilità e preveggenza non comuni, il primo numero di questa rivista dedicava nel 2008 un ampio spazio a Kató Havas e alle sue idee didattiche, grazie alla esaustiva e dettagliata intervista di Caroline Duffner, sua allieva e in seguito assistente e collaboratrice. Nei mesi scorsi articoli commemorativi sono apparsi su “The Strad”e su “The Times”, a riprova della stima e della considerazione che la comunità dei musicisti, e degli strumentisti ad arco in particolare, ha tributato alla sua vita e al suo lavoro.
Non è sempre stato così. All’apparire del suo primo libro, negli ormai lontani Anni Sessanta del secolo scorso, i lettori si divisero equamente fra adepti entusiasti e fieri oppositori, come accade sempre quando un contributo davvero inedito e originale viene a mettere in discussione dogmi e verità consolidate. Una parte dell’Establishment manifestò con veemenza le sue perplessità, almeno fino a quando, con uno di quei “coup de teatre” che spesso hanno segnato la carriera di Kató Havas come insegnante, Yehudi Menuhin in persona prese carta e penna per inviarle quella che egli stesso definì in seguito una “fan letter”, la lettera di un entusiasta, aggiungendo: “I treasure Miss Havas’s contribution”. La circostanza si ripeté anni dopo, all’uscita di “Stage Fright” (“La Paura del Pubblico”).
"Miss Havas è originale nel suo approccio al suonare il violino [e la viola] poiché insiste sul fatto che la tecnica violinistica debba essere riducibile a movimenti fondamentali che coinvolgono più che solo la punta delle dita"
Sir Yehudi Menuhin
Prefazione a "Un Nuovo Approccio al violino"
Sono dell’opinione che il capitolo iniziale di quel primo magico libretto sia condivisibile da tutti i violinisti. Le difficoltà dello studio e le gratificazioni che lo strumento ci regala quando le cose vanno bene sono descritte con una tale chiarezza e onestà intellettuale, un tale “insight” da indurre molto spesso il lettore a pensare: ”Questo libro è stato scritto per me. Come fa l’autrice a conoscermi così bene?”
La circostanza si verificò puntualmente anche nel mio caso e, grazie alla cortesia e alla signorilità di Ronald Valpreda, membro dei Solisti Veneti e poi Prima Viola nell’orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, ottenni finalmente l’indirizzo di Oxford a cui rivolgermi per contattare personalmente Colei che sarebbe divenuta la mia insegnante. Ronald Valpreda era stato fra i primi professionisti operanti in Italia a “collaudare” di persona il New Approach ed era solito affermare di aver imparato di più in quelle poche ore trascorse con Kató Havas che non in molti anni precedenti.
Ebbi così, nel 1984, la singolare opportunità di essere allievo di Kató Havas, prendendo lezioni private e frequentando regolarmente i suoi seminari. Sulla base della mia esperienza diretta penso di poter esprimere una opinione strettamente personale: a mio avviso, il “cuore” di questo approccio sta nel concetto di “fundamental balances”, che potremmo tradurre con “equilibri fondamentali”: un sistema di pesi e contrappesi, dovuti a una specifica azione dei muscoli, permette al violinista di raggiungere una condizione di “suspension”, di equilibrio sospeso, in cui le braccia, il violino e l’arco vengono a trovarsi in una condizione di estrema leggerezza, di “non peso”: “galleggiano” nell’aria, perdono, per così dire, la loro “materialità” e obbediscono solamente all’intenzione dell’esecutore di donare, di regalare la musica a chi ascolta. Di qui alcune celebri affermazioni di Kató, solo in apparenza provocatorie: “There is no violin, no bow“ (“Non c’è il violino, non c’è l’arco”), che possono ricordare quelle di un maestro della filosofia Zen.
"Cara Kató Havas, vorrei ... congratularmi con lei per il suo libro 'La paura del pubblico' ... È l'approccio più realistico e pratico che si possa immaginare ... dovrebbe valere tanto oro quanto pesa per ogni studente e per molti esecutori ".
Sir Yehudi Menuhin
Prefazione a "La
paura del
pubblico"
Un approccio così fondato ha un vantaggio fondamentale: assegna il “compito motorio” di suonare il violino alle strutture del Sistema Nervoso che sovraintendono agli automatismi deputati al controllo dell’equilibrio, lasciando la coscienza e la consapevolezza del musicista totalmente libere di dedicarsi agli aspetti più squisitamente interpretativi dell’esecuzione. È possibile programmare queste strutture, instaurare e rinforzare gli automatismi durante lo studio mediante la pratica della mimesi e del canto. Mimare, senza violino e senza arco, i movimenti dell’esecuzione, rendendoli più realistici possibile, e cantare nel contempo, a voce alta, pronunciando chiaramente i nomi delle note risulta il più efficace dei training e, alla luce dell’esperienza, il più valido degli antidoti allo “stage fright”, il temutissimo blocco nervoso da terrore del palcoscenico, dovuto al venir meno della semplice memoria motoria, così traditrice nei momenti di stress. “La parte più importante del lavoro di preparazione si può fare senza violino e senza arco” è la spiazzante affermazione di Kató Havas, che pone questa sorta di “programmazione neurolinguistica” ante litteram alla base dello studio di una nuova partitura.
Il motore di tutto ciò, la sorgente di energia che dà luogo al gioco degli “equilibri fondamentali e coordinati” è “the rhythmic pulse”, la pulsazione ritmica nella sua accezione più letterale, più vitale. Tutti i musicisti riconoscono nel senso della pulsazione uno dei pilastri del loro agire, ma nella visione di Kató Havas il suo succedersi propulsivo e “cardiaco” è la “conditio sine qua non”. Ne conseguono leggerezza, chiarezza di accenti, flessibilità, emozione, successione ordinata degli eventi che danno luogo a movimenti coordinati. Mettete insieme pulsazione ritmica ed equilibri fondamentali e avrete lo “Swing”, da intendersi nel significato più ampio del termine. Lo swing della mano sinistra sulla tastiera, lo swing dell’arco che danza sulle corde leggero e preciso, ma anche lo swing delle orchestre di musica leggera degli Anni Trenta e Quaranta, lo swing dei “Swingle Singers”. “Lo swing è ovunque, anche in Bach, anche in Mozart. È nostra responsabilità di esecutori farlo emergere, dargli la possibilità di sbocciare” (Kató Havas).
Un aspetto collaterale di questo modo di avvicinarsi al violino, che nel corso degli anni è andato affermandosi con sempre maggiore evidenza fino a diventare preminente, è l’aspetto preventivo-curativo. La pressione e gli impegni che una attività professionale comporta spesso sfociano in situazioni che compromettono l’integrità fisica e la salute degli esecutori: tendiniti, tunnel carpale, dolori alle spalle e alla schiena non risparmiano nessuno, nemmeno i migliori, e non di rado vengono considerati un tributo inevitabile al fatto di suonare uno strumento ad arco. Senza promettere miracoli, la filosofia del New Approach che ho tentato di descrivere si è rivelata in molti casi risolutrice nel prevenire e sanare questo tipo di affezioni.
Di Kató Havas ricordo il sorriso caldo e gentile con
cui accoglieva gli allievi, la finezza intellettuale, l’originalità del
pensiero, l’assoluta integrità morale, la meravigliosa e creativa spontaneità,
il devastante senso dell’umorismo con cui risolveva le situazioni difficili;
esponeva gli aspetti più innovativi e problematici del suo insegnamento in
termini volutamente scherzosi e paradossali, secondo l’uso anglosassone, salvo
aggiungere subito dopo, fattasi improvvisamente seria: ”Not just for fun” (Non
l’ho detto solo per scherzare). “Vogliono rendere complicato il New Approach,
quando in realtà è così semplice… esistono solo due articolazioni, spalla e
gomito (riferendosi al braccio destro) e tre intervalli (riferendosi agli spazi
fra le dita della mano sinistra)” era una sua affermazione sempre più frequente
negli ultimi tempi. Sono particolarmente felice di aver contribuito, assieme ad
altre persone che voglio qui ricordare – Ennio Francescato, Satu Jalas, Caroline
Duffner, Monica Cuneo - ad organizzare la sua venuta a Cremona nel 2008, in
occasione della presentazione del primo numero di “A Tutto Arco”.
Furono giorni memorabili, segnati dalla pienezza e dalla gioia, in cui Kató riaffermò più volte la sua predilezione per l’Italia e gli Italiani: “Mi piace il vostro modo di intendere la vita” ripeteva sorridendo. Ripensandoci, la sua instancabile dedizione alla musica e al compito di insegnarla è semplicemente la storia di un amore, amore per lo strumento a cui abbiamo deciso di dedicare tanta parte delle nostre energie e della nostra esistenza.
Roberto Moro, Aprile 2019
Roberto Moro vive e insegna il Nuovo Approccio Havas a Padova e può essere raggiunto scrivendo a moro.promusica @ tin.it (omettendo gli spazi prima e dopo @).
Ringazio cordialmente Roberto per avermi dato il suo permesso di pubblicare qui questo articolo.
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